RIVISTA STORICA VIRTUALE

www.rivstoricavirt.com

 

 

LE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO

SECONDO ENGELS

a cura di Michele E. Puglia

 

SOMMARIO: PREMESSE; LA STORIA DI PEREGRINO; LA CRITICA BIBLICA TEDESCA; L’APOCALISSE DI GIOVANNI; LE VISIONI DELL’APOCALISSE; I MOVIMENTI CRISTIANO E SOCIALISTA; TRIBOLATI diseredati E OPPRESSI; IL PENSIERO DI BRUNO BAUER; LE CONDIZIONI DELL’IMPERO ROMANO.

 

Il cristianesimo non è sorto all’improvviso a seguito delle predicazioni

di Cristo, ma come Enghels dimostra, era andato maturando

 tra le moltitudini di reietti, diseredati, schiavi e tribolati

senza futuro e senza speranza di un domani migliore su questa terra.

La soluzione per fare uscire questa umanità disperata da tale abbrutimento

 era posta nell’idea  che si era fatta strada, di una vita dopo la morte del corpo,

che sarebbe continuata per l’anima in un altro mondo, nel mondo dell’al di là.

La parte più sostanziale in questo processo evolutivo, scrive Engels,

l’aveva avuta il filosofo ebreo Filone della scuola di Alessandria da dove era partito il fulcro

delle elaborazioni che si erano trasfuse nella religione cristiana,

del patrimonio della filosofia greco-romana, platonica e specialmente stoica.

Il cristianesimo prese sul serio il premio e la punizione nell’aldilà, creò il cielo

per gli afflitti, i tribolati e gli oppressi che acquistavano meriti in questo mondo e l’inferno

per i reprobi e così si diffuse nel mondo intero.

 Non la Galilea e Gerusalemme sono i luoghi di nascita del cristianesimo,

ma Alessandria, Roma e soprattutto l’Egitto, scrive Engels riprendendo Bauer.

Nella lunga maturazione del cristianesimo erano entrati elementi ebraici, greco-alessandrini

ma anche puramente greci e greco-romani.

Sono stati tutti questi elementi che hanno permesso al

cristianesimo di diventare una religione mondiale.

E’ da sfatare la leggenda del cristianesimo sorto bell’e pronto dall’ebraismo della Palestina

per conquisare il mondo con una dogmatica ed etica già fissate nelle sue linee essenziali.

Engels nel suo articolo non aveva curato l’aspetto più immediato della

influenza della filosofia platonica e successivamente del neoplatonismo

al quale il cristianesimo deve moltissimo relativamente alla parte dottrinaria, come lo deve

alle dottrine di Aristotele penetrate in Occidente tra il XII e XIII secolo per merito dei

filosofi arabi (v. Articoli: La scienza araba alle origini della cultura occidentale),  e considerato

inizialmente dalle autorità ecclesiastiche “quel pagano ateo”,

per poi essere stato utilizzato dai grandi pensatori della scolastica e particolarmente

da Tommaso d’Aquino, il quale aveva dato l’assetto definitivo alla dottrina cattolica, prendendo dal pensiero aristotelico tutto ciò che poteva servire, tanto da

poter affermare che la costruzione della teologia e filosofia aristotelica costituiscono il

fondamento della dottrina cristiana e cattolica.

Tornando a Platone, si pensi all’Artefice-Demiurgo-Artigiano che mette ordine al caos primordiale

separando i quattro elementi originari fuoco, aria, acqua terra,

che diventa il Dio monocratico del cristianesimo o al mondo delle Idee platonico che diventa  il Verbo-Figlio o l’anima cosmica che diventa lo Spririto Santo,

il tutto dando luogo al concetto di Trinità;

all’anima che se si è comportata bene sulla terra che sale nelle sfere celesti

dove condurrà vita felice.

Mentre in Roma e in Grecia le altre religioni erano tolleranti,

non lo erano in Asia minore dove erano sottoposte a divieti che costituivano

una vera e propria segregazaione e avevano contribuito non poco alla loro decadenza.

Infatti persone di due religioni diverse potevano appena parlare insieme

ma non mangiare, bere o compiere insieme una qualsiasi altra azione.

Il merito del cristianesimo, scrive Engels, rispetto a queste  altre religioni alle quali

nel tempo si era sostituito,

è stato quello che la nuova religione si rivolgeva e accomunava i popoli, senza distinzione,

 diventando così la prima religione possibile.

 

 

 

PREMESSE

 

Friederich Engels aveva meditato tre articoli sulle origini del cristianesimo primitivo nell’arco di cinquant’anni, i primi due pubblicati tra il 1883 e 1895 su riviste tedesche e inglesi; il terzo, “Per la storia del cristianerimo primitivo”,  sarebbe stato pubblicato su “Neue Zeit” (organo della socialdemocrazia tedesca) diretta da Kautsky” (sarebbe stato poi tradotto pressocché in tutte le lingue), accompagnato da una lettera all’editore in cui spiegava appunto di aver impiegato cinquant’anni e oramai per la pubblicazione …non c’era più alcuna fretta!

Essi sono stati  raccolti e pubblicati in un libretto intitolato “Sulle origini del cristianesimo” da Editori Riuniti (1986).  

Questi articoli, oltre ad essere un capolavoro di saggistica lucida e chiara, costituiscono opera fondamentale per qualsiasi studioso di storia delle religioni che per uno studio scientifico (che non sia apologetico o letterario), non potrà fare a meno di consultare e meditare.   

Engels introduce l’argomento con un paragone con il movimento operaio socialista, affermando che come questo, il cristianesimo alle origini era un movimento di oppressi essendosi manifestato come religione degli schiavi e dei liberi, dei poveri e dei senza diritti e dei popoli soggiogati e dispersi da Roma.

Entrambi, cristianesimo e socialismo, scriveva Engels, predicano un imminente riscatto dalla schiavitù e dalla miseria. Però, mentre il cristianesimo pone questo riscatto in una vita nell’aldilà, in cielo dopo la morte, il socialismo lo pone in questo mondo in una trasformazione della società.

Entrambi sono stati perseguitati e braccati e i loro seguaci messi al bando, colpiti da leggi eccezionali, gli uni come nemici del genere umano, gli altri come nemici dell’impero, della religione, della famiglia, dell’ordine sociale.

Nonostante tutte le persecuzioni, anzi favoriti proprio da esse, entrambi sono avanzati vittoriosamente, irresistibilmente. Il cristianesimo,  trecento anni dopo il suo sorgere, era divenuto religione di Stato riconosciuta dall’impero mondiale romano; il socialismo in sessant’anni (siamo nel 1883 ndr.) ha conquistato una posizione che gli assicura assolutamente la vittoria.

Il parallelo, spiega Engels, tra i due fenomeni storici, si impone già nel medioevo, nelle prime sollevazioni di contadini oppressi e in particolare delle plebi delle città.

Queste sollevazioni, come tutti i movimenti di massa del medioevo, portavano necessariamente una maschera religiosa, apparivano come restaurazioni del cristianesimo primitivo degenerato da secoli, ma di regola, dietro l’esaltazione religiosa si nascondevano interessi mondani molto forti.

Nella forma più grandiosa, questo processo si verificò con l’organizzazione dei taboriti boemi, sotto la guida di Jan Žižka (seguace e successore di Jan Hus 1360/70-1424; v. L’Europa verso la fine del medioevo, P.II), continuando per tutto il medioevo fino ad assopirsi dopo la guerra tedesca dei contadini (1524-1526), per risvegliarsi di nuovo con i comunisti operai dopo il 1830.

Ritornando al cristianesimo primitivo, Engels spiega che una delle fonti migliori sui primi cristiani egli ritiene sia Luciano di Samosata (ultimo scrittore greco vissuto tra il 130 e il 200 n.e. ndr.) che definisce il Voltaire dell’antichità classica, il quale, secondo la sua opinione,  mantenne un atteggiamento ugualmente scettico dinanzi ad ogni sorta di superstizione religiosa e non aveva alcun motivo né di ordine religioso pagano, né politico, per trattare i crtistiani diversamente da qualsiasi altra associazione religiosa. Al contrario, precisa Engels, egli li canzona tutti a causa della loro superstizione, gli adoratori di Giove non meno degli adoratori di Cristo.

 

LA STORIA DI PEREGRINO

 

Secondo il punto di vista di Luciano, che Engels considera “superficialmente razionalistico”, un tipo di superstizione non è meno sciocco dell’altro. Questo testimone, in ogni caso imparziale, prosegue Engels, racconta tra l’altro la storia di Peregrino, un avventuriero che si faceva chiamare Proteo ed era originario di Pario sull’Ellesponto.

Peregrino aveva esordito nella sua giovinezza in Armenia con un adulterio, ma fu colto sul fatto e linciato secondo i costumi del luogo. Scampato al linciaggio, dopo aver strangolato il padre, dovette fuggire.

Peregrino aveva imparato la dottrina dei cristiani dai sacerdoti e scribi che aveva frequentato quando era in Palestina. In breve tempo fece tali progressi che i suoi maestri sembravano fanciulli al suo confronto. Divenne profeta anziano della comunità, capo della sinagoga, insomma tutto: spiegava le scritture e ne scriveva egli stesso in gran numero, tanto che alla fine credettero di vedere in lui un essere superiore  e lo nominarono preside (vescovo).

A causa di ciò Proteo-Peregrino fu arrestato dall’autorità e gettato in carcere. Mentre giaceva in catene, i cristiani ai quali il suo arresto sembrava una grande sventura, fecero tutto il possibile per liberarlo. Ma non vi riuscirono  ed essi cercarono di prestargli la massima assistenza con la più straordinaria sollecitudine.

Già allo spuntare del giorno si vedevano vecchierelle, vedove, orfanelli aspettare con ansia davanti alla porta della prigione. I più ragguardevoli cristiani corrompevano perfino i carcerieri e passavano intere notti con lui; gli portavano i pasti, leggevano insieme i libri sacri. In breve, Peregrino fu considerato un altro Socrate. Persino dalle città dell’Asia minore si presentavano delegati delle comunità cristiane per porgergli una mano soccorrevole, per confortarlo e per assumere la sua difesa davanti al tribunale.

E’ incredibile, commentava Luciano, come questa gente si prodighi immediatamente quando capita qualcosa che riguarda la loro comunità: in tali casi non risparmiano né fatica né spese.

Anche a Peregrino arrivarono denari da tutte le parti, tanto che la prigione diventò una fonte di larghe entrate.

Quella povera gente, proseguiva Luciano, è convinta di essere immortale di corpo e di anima e di poter vivere per tutta l’eternità. Per cui avviene che essi disprezzano la morte e molti di loro addirittura si offrono ad essa volontariamente.

Il loro primo legislatore ha fatto poi sorgere in essi la convinzione di essere fratelli non appena si sono convertiti,  cioè abbiano rinnegato gli dei greci e si siano dedicati all’adorazione di quel sofista crocifissso, e vivono secondo i suoi precetti. Quindi essi disprezzano senza distinzione tutti i beni esteriori e li possiedono in comune: dottrine queste che hanno acettato ingenuamente e per fede, senza verificarle e senza prove. E se si presenta loro un abile imbroglione che con astuzia sa approfittare delle circostanze, può riuscire in breve tempo a diventare ricco sfondato e ridere di quegli ingenui semplicioni.

Del resto Peregrino fu rimesso in libertà dal Prefetto di Siria di quel tempo. Egli se ne andò per la seconda volta da Pario per fare il vagabondo. Riceveva tutto l’occorrente dalla bonarietà dei cristiani che dovunque gli servivano da accompagnatori e non gli facevano mancare nulla.

Per qualche tempo fu così pasciuto, ma quando trasgredì le leggi cristiane (lo avevano visto mangiare qualcosa di proibito), fu espulso dalla comunità.

Riprendendo le sue considerazioni, Engels prosegue. Tutti quegli elementi che il processo di dissoluzione del mondo antico aveva messo in libertà, che cioè aveva sfrattato, entravano l’uno dopo l’altro nella sfera di attrazione del cristianesimo come l’unico elemento che resisteva a questo processo di dissoluzione, perché ne era appunto il necessario prodotto e che perciò permaneva e cresceva, mentre gli altri elementi erano soltanto mosche effimere.

Non c’era fantasticheria, pazzia, imbroglio che non si infiltrasse nelle giovani comunità cristiane, che non trovasse temporaneamente, almeno in alcuni luoghi, orecchie disposte e fedeli volenterosi. E come nelle prime comunità operaie comuniste, anche i primi cristiani erano di una inaudita credulità per le cose che toccavano la loro vita di ogni giorno, tanto che non siamo neppure sicuri che dal gran numero di “scritture” di Peregrino stese per la cristianità, questo o quel frammento non sia finito per errore nel nostro Nuovo Testamento.

 

LA CRITICA BIBLICA TEDESCA

 

Engels considera la critica biblica tedesca (che prende in considerazione fino al suo tempo ndr.), l’unica base scientifica della conoscenza del cristianesimo primitivo; in essa, egli scrive, si possono distinguere due correnti.

1. La prima è quella della scuola di Tubinga alla quale è da assegnare David Friederick Strauss (v. nota 1. Schede: Stato e Spirito del popolo secondo Shelling ed Hegel).

Nell’indagine cristiana questa arriva fin dove può arrivare una scuola teologica. Essa ammette che i quattro Vangeli non sono relazioni di testimoni oculari, ma rielaborazioni tarde di scritti perduti (o racconti orali, come è stato successivamente affermato ndr.) e che delle lettere attribuite all’apostolo Paolo, al massimo quattro sono autentiche.

Essa cancella dalla narrazione storica, come inammissibili, tutti i miracoli e tutte le contraddizioni, ma nel rimanente cerca di “salvare il salvabile”, e qui appare il suo carattere di “scuola teologica”.

Engels, a questo punto critica “Le origini del crtistianesimodi E. Renan che si fonda su di essa, di “salvare” con lo stesso metodo, ancora il molto eliminato dalla scienza, imponendoci come storicamente accertate oltre a molte narrazioni neotestamentarie più che dubbie, una quantità di leggende di martiri.

2. L’altra corrente è rappresentata da un solo uomo: Bruno Bauer.

Il suo grande merito, scrive Engels, va visto non solo in una critica spregiudicata dei Vangeli e delle lettere apostoliche, ma anche nell’aver impostato per la prima volta seriamente la ricerca non solo degli elementi ebraici e greco-alessandrini, ma anche quelli puramente greci e greco-romani che hanno permesso al cristianesimo di diventare religione mondiale.

La leggenda del cristianesimo sorto bell’e pronto dall’ebraismo partito dalla Palestina per conquistare il mondo con una dogmatica e un’etica già fissate nelle sue linee essenziali, è diventata impossibile dopo Bruno Bauer. Solo nelle facoltà teologiche essa può ancora continuare a vegetare e fra gente che “vuole conservare la religione del popolo” anche a spese della scienza.

La parte enorme che la scuola di Filone ad Alessandria e la filosofia volgare greco-romana, platonica e specialmente stoica, hanno avuto nella formazione del cristianesimo, che sotto Costantino diventò religione di Stato, è ancora ben lungi dall’essere accertata nei paricolari, ma la sua esistenza è dimostrata per merito di Bauer, secondo il quale il cristianesimo non è stato importato dal di fuori della Giudea nel mondo greco-romano e ad esso imposto, ma almeno nella sua forma di religione mondiale è il precipuo prodotto di questo mondo (greco-romano).

Bauer, aggiunge Engels, come tutti coloro che lottano contro pregiudizi radicati, tirò molto al di là del bersaglio. Per fissare (anche letterariamente) l’influsso di Filone e specialmente di Seneca sul cristianesimo in via di formazione, e per presentare gli scrittori neotestamentari formalmente come plagiari di quei filosofi, egli deve porre l’origine della nuova religione circa mezzo secolo più tardi, ripudiare i resoconti di storici romani che a ciò si oppongono, e in genere concedersi forti libertà nei riguardi dell’esposizione storica. 

Il cristianesimo, come tale, secondo Bauer ha origine sotto gli imperatori Flavi (Tito Flavio Vespasiano: 69-79; Tito Flavio Vespasiano: 79-81; Tito Flavio Domiziano: 81-96); la letteratura testamentaria, solo sotto Adriano (117-139), Antonino (138-161) e Marco Aurelio (161-180).

In tal modo, scompare presso Bauer, qualsiasi sfondo storico per le narrazioni neotestamentarie su Gesù e sui suoi apostoli; esse si dissolvono in leggende nelle quali le fasi di sviluppo interno e le lotte delle prime comunità cristiane sono trasferite su figure più o meno fittizie.

Non la Galilea e Gerusalemme, ma Alessandria e Roma, secondo Bauer sono i luoghi di nascita della nuova religione. Soltanto nuovi ritrovamenti, aggiunge Engels a Roma o soprattutto in Egitto contribuiranno a una chiarificazione molto più di ogni critica.

Da un solo libro del Nuovo Testamento, prosegue Engels si può determinare il tempo della sua  redazione, e questo è molto importante per determinare ciò che era il cristianesimo primitivo di tutto il rimanente Nuovo Testamento ben più tardo nella sua attuale redazione.

Questo libro è l’Apocalisse di Giovanni, apparentemente il più oscuro di tutta la Bibbia, ma grazie alla critica tedesca oggi è il più comprensibile.

 

L’APOCALISSE DI GIOVANNI

 

Basta uno sguardo, scrive Engels, per convincersi del carattere esaltato, non solo dell’autore, ma dell’ambiente in mezzo al quale egli si muoveva.

Questa Apocalisse non è l’unica della sua specie e del suo tempo. Nell’anno 164 prima della n.e., data la composizione del testo apocalittico più antico, quello di Daniele e fino all’anno 250 n.e., data il “Carmen apologeticum” di Commodiano (mentre Renan di testi apocalittici  ne enumera una quindicina), senza contare le imitazioni).

Era quello il tempo in cui a Roma e in Grecia e ancor più in Asia minore, in Siria e in Egitto,qualsiasi mescolanza delle più crasse superstizioni delle popolazioni più diverse, veniva accettata e integrata con più inganni e vero e proprio ciarlatanismo. Era il tempo in cui miracoli, estasi, spiritismo, divinazione del futuro, alchimia, cabala e altre forme di magia occulta esercitavano una funzione di primo piano. Era questa l’atmosfera in cui era sorto il cristianesimo primitivo e più che altro tra gente che aveva più di ogni altra orecchie aperte a queste fantasticherie.

E gli gnostici cristiani d’Egitto, nel corso del II sec. n.e., come dimostrano gli scritti dei papiri di Leida, si sono dati fortemente anch’essi all’alchimia, accettando concezioni alchimistiche nelle loro dottrine.

I “mathematici” (astronomi) caldei ed ebrei, che secondo Tacito furono cacciati due volte da Roma per magia, sotto Claudio e Vitellio, praticavano quell’arte geometrica che ritroveremo proprio nell’Apocalisse di Giovanni.

A ciò si aggiunga un altro elemento. Tutte le apocalissi si attribuiscono il diritto di ingannare i propri lettori. Infatti, non solo sono scritte da altre persone - per lo più di molto posteriori (p.es. il libro di Enoc, le apocalissi di Esdra, Baruc, Giuda ecc., i Libri sibillini), ma profetizzano, nel loro prinicipale contenuto fatti accaduti oramai da lungo tempo e perfettamente noti al loro vero autore.

Così nell’anno 164 n.e., poco prima della morte di Antioco Epifane (re di Siria, 215-163) l’autore del libro di Daniele, fa predire al preteso Daniele, vissuto al tempo (e alla corte) di Nabucodonosor (II, fondatore dell’impero persiano,VII sec. a.C.), l’ascesa e il tramonto degli imperi persiano e macedone e l’inizio dell’impero romano, in modo da predisporre il lettore, sulla base di questa prova, della sua sapienza profetica, alla profezia finale, secondo la quale il popolo d’Israele supererà tutte le tribolazioni e alla fine riuscirà vincitore.

Se l’Apocalisse di Giovanni fosse effettivamente opera del preteso autore, aggiunge Engels, essa sarebbe l’unica eccezione fra tutta la letteratura apocalittica. E’ possibile, in ogni caso, che l’autore sia l’apostolo Giovanni la cui esistenza storica non è accertata ma probabile. E se questo apostolo fosse veramente l’autore, tanto meglio per il suo punto di vista. Sarebbe la prova migliore per accertarsi che il cristianesimo di questo libro è l’effettivo, autentico cristianesimo primitivo.

Incidentalmente, conclude Engels, è bene notare che l’Apocalisse non proviene dallo stesso autore del Vangelo e delle tre lettere che sono attribuite a Giovanni.

 

LE VISIONI DELL’APOCALISSE

  

Le visioni apocalittiche che l’autore presenta, sono interamente e per lo più letteralmente tolte a prestito da modelli precedenti. In parte dai profeti classici dell’Antico Testamento, in parte dalle più tarde apocalissi ebraiche, composte sull’esempio del libro di Daniele e in particolare del libro di Enoc, già scritto allora, almeno in parte.

La critica ha dimostrato da dove il nostro Giovanni abbia preso a prestito ogni immagine, ogni presagio minaccioso, ogni piaga riversata sull’umanità, insomma l’intero materiale del suo libro, e,  non solo, manifesta una povertà di spirito tutta speciale, ma fornisce lui stesso la prova di non avere vissuto neppure nell’immaginazione le sue pretese estasi così come le descrive.

L’Apocalisse consta di una serie di visioni, nella prima delle quali appare Cristo vestito da sacerdote che cammina fra sette candelabri che simboleggiano le sette comunità asiatiche e detta a Giovanni lettere per i sette angeli di queste comunità.
Qui balza evidente la differenza tra questo cristianesimo e la religione mondiale costantiniana del Concilio di Nicea.

La trinità non solo non è conosciuta, ma vi appare impossibile. Invece del più tardo “spirito santo”, vi troviamo i “sette spiriti di Dio” costruiti dai rabbini in base a Isaia (11,2), Cristo è figlio di Dio - il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega - ma niente affatto Dio stesso o uguale a Dio, anzi, al contrario “il principio della creazione di Dio”, dunque una emanazione di Dio che esiste dall’eternità, ma subordinata proprio come i “sette spiriti”.

Quanto a Cristo (15,3) egli appare non solo subordinato a Dio ma è persino posto, sotto un certo rapporto, allo stesso livello di Mosè.

Cristo è crocifisso a Gerusalemme (11,8) ma risorto (1,5,18) è l’agnello che è stato sacrificato per i peccati del mondo e col cui sangue i credenti sono stati riscattati a Dio da ogni popolo e da ogni lingua.

Qui troviamo l’idea fondamentale che ha reso possibile al cristianesimo primitivo di continuare a svilupparsi come religione mondiale.

A tutte le religioni di allora, dei semiti e degli europei, prosegue Engels, era comune l’opinione secondo la quale gli dèi offesi dalle azioni degli uomini potevano essere riconciliati mediante sacrifici. La prima idea rivoluzionaria fondamentale del cristianesimo (presa dalla scuola di Filone) era quella che mediante un grande, volontario sacrificio di un intermediario, i peccati di tutti i tempi e di tutti gli uomini venivano espiati una volta per sempre (questo vale per i credenti).

Con ciò cadeva la necessità di ogni ulteriore sacrificio e quindi il fondamento di una quantità di cerimonie religiose.

Venne così introdotto il sacrificio simbolico della messa che in ogni caso fu ripresa dall’abitudine del sacrificio dei popoli pagani.

Del dogma del peccato originale nell’Apocalisse (*) non vi è traccia.

Dal libro e dalle lettere inoltre, l’autore non designa mai se stesso o i suoi compagni di fede altrimenti che come giudei ai quali si riferisce quando indica “i figli d’Israele”. Ci troviamo quindi di fronte a gente che non aveva la coscienza o  la consapevolezza di essere cristiana, ma si qualificava “giudea” con la conseguenza che il nostro auTore del “69” dell’èra cristiana era così poco cosciente di rappresentare una fase nuova dello sviluppo religioso, che sarebbe diventata uno degli elementi più rivoluzionari dello spirito umano.

Vediamo dunque, prosegue Engels, che il cristianesimo di allora non ancora cosciente di se stesso, era diversissimo dalla più tarda religione mondiale, dogmaticamente fissata dal Concilio di Nicea; è impossibile non riconoscere il primo dal secondo. Nel primo non esistono la dogmatica e l’etica del secondo.

Qui non esistono né la dogmatica né l’etica del posteriore cristianesimo ma in compenso vi è la sensazione di trovarsi in lotta e di dover superare questa lotta.

A questo punto Engels intravede con lungimiranza, avendone avuta  semplicemente l’intuizione, che relativamente alla lotta in seno alla comunità (o alle comunità cristiane) questa lotta sarebbe stata dimostrata da nuovi ritrovamenti. E infatti i ritrovamenti dei testi gnostici (a Nag Hammadi nel 1945) hanno dimostrato che vi era stata una lotta feroce contro gli gnostici, anch’essi cristiani, che aveva portato alla distruzione o alla  eliminazione di tutti i loro testi.

 

*) Omettiamo l’esame di E., pur interessante, sulle ulteriori visioni contenute nell’Apocalisse, circa la bestia dalle sette teste, del numero 666 che riguarda Nerone (e non il diavolo come successivamente interpretato ndr.) secondo l’interpretazione cabalistica.

 

I MOVIMENTI CRISTIANO E SOCIALISTA

 

Questi due grandi movimenti, precisa Engels, non sono l’opera di capi e di profeti - benché in ambedue di profeti se ne trovino abbastanza - essi sono movimenti di massa.

E i movimenti di massa sono al principio necessariamente confusi, perché ogni pensiero di massa si muove dapprima tra contraddizioni, oscurità e incoerenze, ma confusi anche per la parte che da principio vi hanno i profeti.

Questa confusione si manifesta nella formazione di numerose sette che si combattono tra loro, almeno con la stessa violenza con cui combattono il comune nemico.

Presso i primi cristiani troviamo la scissione in innumerevoli sette, che era proprio il mezzo per arrivare ad una forzata discussione e, attraverso questa, alla successiva unità.

E ciò lo riscontriamo nell’Apocalisse in cui l’autore si scaglia contro di esse con la stessa implacabile violenza con cui si scaglia contro il mondo peccatore.

Ecco in primo luogo i nicolaiti di Efeso e di Pergamo; quelli che dicono di essere giudei ma sono della comunità di Satana, a Smirne e Filadelfia; i seguaci della dottrina del falso profeta indicato come Balaam di Pergamo; quelli che dicono di essere apostoli e non lo sono a Efeso; infine i seguaci della falsa profetessa indicata come Gezabele a Tiàtira.

Di queste sette non veniamo a sapere niente di più preciso; solo dei seguaci di Balaam e di Gezabele è detto che mangiano le offerte fatte agli idoli e fornicano.

Si è cercato di individuare queste cinque sétte come cristiani paolini, e tutte queste missive come dirette contro Paolo,  il falso apostolo, il preteso Balaam e Nicola*.

I relativi argomenti sono affrontati da Renan (nel libro “Saint Paul”) e tendono a spiegare le lettere per mezzo degli “Atti degli Apostoli” e le cosiddette “Lettere paoline”, scritti che nella attuale redazione sono più recenti dell’Apocalisse per lo meno di sessant’anni e i cui dati effettivi sono non soltanto estremamente dubbi ma del tutto contraddittori tra loro.

 

*) Nicola si ritiene fosse uno dei settanta discepoli di Gesù (menzionato nell’Apocalisse di Giovanni), più probabilmente il nome è simbolico in quanto deriva dalla traduzione greca di Balaam i cui appartenenti alla setta “mangiavano cose sacrificate agli idoli e fornicavano”, erano considerati i precursori degli Gnostici.

 

 

TRIBOLATI DISEREDATI E OPPRESSI

 

Le lettere sono soltanto l’introduzione al vero e proprio tema del messaggio di Giovanni alle sette comunità dell’Asia minore, e attraverso queste agli altri giudei riformatori dell’anno “69”, dai quali più tardi si sviluppò la cristianità. Penetriamo così nell’intimo sacrario  del cristianesimo primitivo.

Fra quali persone, si chiede Engels, si reclutavano i primi cristiani? La risposta:- Principalmente fra i tribolati e gli oppressi, fra gli appartenenti agli infimi strati popolari, come si addice a un principio rivoluzionario. E questi da chi erano costituiti? Nelle città dai liberi decaduti, da gente proveniente da ogni sorta di popoli simili ai “mean whites” (miserabili bianchi) degli Stati schiavisti del sud; nei latifondi dell’Italia, della Sicilia, dell’Africa; da schiavi nei distretti rurali delle province; da piccoli contadini che precipitavano sempre più nella servitù per debiti. Non vi era semplicemente una via d’uscita comune per l’emancipazione di tutti questi rejetti. Per tutti il paradiso perduto era alle loro spalle: per il libero, per lo schiavo catturato in guerra, per il contadino povero che precipitava sempre più nell’asservimento per debiti di fronte agli usurai.

Quale la via d’uscita che si offriva a questi uomini asserviti, oppressi e impoveriti, che fosse comune a tutti i diversi gruppi umani?

Questa via d’uscita si trovò, ma non in questo mondo: essa poteva essere soltanto una via d’uscita religiosa. Si aprì un altro mondo.

La continuazione  dell’esistenza dell’anima dopo la morte del corpo era diventata a poco a poco un articolo di fede riconosciuto dovunque nel mondo romano (non dimentichiamo la vita nell’oltretomba della religione egiziana nda.). Anche una specie di ricompensa e di punizione delle anime defunte per le azioni compiute in terra era sempre più generalmente ammessa.

La ricompensa peraltro restava assai nel vago. L’antichità era troppo schiettamente materialista per non attribuire alla vita terrena un valore infinitamente più alto che alla vita nel regno delle ombre; presso i greci la sopravvivenza dopo la morte era considerata come un guaio.

Venne allora il cristianesimo che prese sul serio la ricompensa e la punizione nell’al di là, creò  cielo e inferno, e si trovò la via d’uscita che conduceva gli afflitti e gli oppressi da questa terrena valle di lacrime nel paradiso eterno.

E in realtà, soltanto con la prospettiva di una ricompensa nell’al di là era possibile innalzare la rinuncia al mondo e l’ascetismo stoico-filoniano a principio etico di una nuova religione mondiale che trascinasse le masse popolari oppresse. 

Quanto al monoteismo, Engels ritiene che  per giungere al monoteismo, dall’Avesta di Zoroastro (testi rivelati VI-IV sec.) in poi, questo aveva dovuto fare i conti con il politeismo.

Infatti, presso gli ebrei l’apostasia verso déi materiali pagani persiste cronicamente, finché dopo l’esilio, la corte celeste, su modello persiano, adatta un po’ più la religione alla fantasia popolare. E lo stesso cristianesimo, anche dopo che ebbe posto il misterioso Dio trino e uno - differenziato in sé - in luogo del rigido Dio degli ebrei, eternamente uguale a se stesso, potè eliminare presso le masse popolari il culto dei vecchi déi, solo sostituendovi il culto dei santi.

Infatti, secondo Fallmerayer, il culto di Giove era scomparso nel Peloponneso, nella Maina in Arcadia, solo intorno al nono secolo n.e. .

Soltanto l’epoca della borgesia moderna, conclude Engels e il suo protestantesimo, tornano a eliminare i santi e prendono finalmente sul serio il monoteismo differenziato.  

 

IL PENSIERO DI BRUNO BAUER

 

Engels, nel commemorare la morte di Bauer (1809-1882), scrive che egli pur avendo avuto, come filosofo e teologo una certa influenza, moriva quasi dimenticato. I teologi ufficiali, compreso Renan, scrive Engels, lo copiavano e per questo di lui non ne parlano assolutamente. Egli  infatti, aggiunge Engels, valeva più di tutti  loro, e più di loro ha lasciato la sua traccia sulla questione dell’origine del cristianesimo.

Su questo argomento Engels cerca di fare il punto partendo da una premessa. Una religione che ha sottomesso a sé l’impero romano, egli dice, e che ha dominato per milleottocento anni, non si può liquidare puramente e semplicemente spiegandola come un insieme di assurdità originate da impostori. E si domanda:- Come accadde che le nuove masse popolari dell’impero romano preferirono queste assurdità per di più predicate da schiavi e oppressi, a tutte le altre religioni?

La risposta è data dalle ricerche di Bauer che hanno portato alla conclusione che l’ebreo alessandrino Filone (30 a C.,c.a dopo 40 n.e.), che viveva in età avanzata nell’anno 40 della n.e., è il vero padre del cristianesimo, mentre lo stoico romano Seneca (5-65 n.e.) è per così dire lo zio.

I numerosi scritti a noi tramandati sotto il nome di Filone sono di fatto sorti da una fusione di tradizioni allegorico-razionaliste ebraiche con la filosofia greca, in specie stoica.

Questa conciliazione di concezioni occidentali e orientali, contiene già in sé tutte le idee essenzialmente cristiane: la innata peccabilità dell’uomo; il logos, la parola che è presso Dio ed è Dio stesso che fa da intermediario fra Dio e l’uomo; la penitenza raggiunta non con sacrifici di animali ma con l’offerta del proprio amore a Dio, infine il dato essenziale che la nuova filosofia capovolge l’ordinamento del mondo sino allora esistente, cerca i suoi apostoli tra i poveri, i miseri, gli schiavi e gli abietti e disprezza i ricchi, i potenti, i privilegiati, ponendo al centro della sua dottrina il disprezzo di tutti i godimenti mondani e la mortificazione della carne.

D’altra parte Augusto aveva fatto sì che non soltanto l’uomo Dio, ma anche la cosiddetta immacolata concezione diventassero formule prescritte in nome dell’impero.

Non soltanto egli decretò onori divini a Cesare e a se stesso, ma fece anche diffondere la voce che lui, Augusto Cesare Divus, il divino, non era figlio di un padre mortale, ma sua madre lo aveva concepito dal dio Apollo.

Come si vede, manca soltanto la chiave di volta e l’impero cristiano, nei suoi tratti fondamentali è completo: l’incarnazione del logos fatto uomo in una determinata persona e il suo sacrificio espiatorio sulla croce per la redenzione dell’umanità peccatrice.

Sul modo in cui questa chiave di volta sia stata inserita nelle dottrine stoico-filoniane, le fonti nulla dicono. E’ certo che essa non è stata inserita da filosofi scolari di Filone o della Stoà.

Le religioni vengono fondate da gente che avverte un bisogno religioso e si interessa dei bisogni religiosi delle masse e questo non è di norma il caso dei filosofi di scuola. Mentre, in tempi di generale dissoluzione (come oggi), troviamo la filosofia e la dognmatica religiosa appaiate in forma volgarizzata e generalmente diffusa.

Se la filosofia greca classica nelle sue ultime forme (specialmente della scuola epicurea), portava al materialismo ateistico, la filosofia volgare greca portava alla dottrina del dio unico e dell’anima umana immortale.

Allo stesso modo l’ebraismo volgarizzato razionalisticamente nella mescolanza e nei rapporti con stranieri semiliberi, era giunto a trascurare le cerimonie della legge, a trasformare l’antico dio nazionale esclusivo ebraico Jahvè, nell’unico vero Dio creatore del cielo e della terra e ad accettare l’immortalità dell’anima, originariamente estranea all’ebraismo.

Così la filosofia monoteistica s’incontrò con la religione volgare che le presentava bell’e pronto l’unico dio. Ecco preparato il terreno sul quale presso gli ebrei l’elaborazione delle concezioni filoniane, altrettanto volgarizzate, poteva generare il cristiannesimo e questo, una volta generato, trovare accoglienza presso i greci e i romani.

Che il cristianesimo sia derivato dalle concezioni filoniane volgarizzate, e non direttamente dagli scritti di Filone, lo dimostra il fatto che il Nuovo Testamento trascura quasi completamente la parte fondamentale di questi scritti, cioè l’interpretazione allegorico-filosofica delle narrazioni dell’Antico Testamento (e questo, precisa Engels, è un aspetto che Bauer non ha considerato a sufficienza).

Per farsi un’idea delle caratteristiche del cristianesimo nella sua prima formazione, basti leggere la cosiddetta Apocalisse di Giovanni (già esaminata innanzi), un confuso, intricato fanatismo; di dogmi solo alcuni accenni iniziali; della così detta morale cristiana, solo la mortificazione della carne e invece visioni e profezie in quantità.

La completa elaborazione dei dogmi e dell’etica va attribuita a un’epoca posteriore alla quale appartiene la redazione dei Vangeli e delle c.d. Lettere apostoliche. E allora, almeno per la morale, venne utilizzata con disinvoltura la filosofia stoica e in particolare Seneca.

Che le lettere spesso lo copino, prosegue Engels, lo ha dimostrato Bauer; di fatto la cosa aveva già colpito i credenti, ma essi se la sono sbrigata sostenendo che era stato Seneca a copiare dal Nuovo Testamento (che ai suoi tempi non era stato ancora scritto).

La dogmatica si sviluppò da una parte in collegamento con la leggenda evangelica di Gesù allora in via di formazione, dall’altra nella lotta fra cristiani giudaizzanti e cristiani pagani.

Circa le cause che avevano portato il cristianesimo alla vittoria e al dominio mondiale, Engels dice che l’idealismo del filosofo gli impedisce di vedere chiaramente e manifestare con acutezza le proprie idee, per cui egli dà la sua opinione fondata oltre che sugli scritti di Bauer anche su studi indipendenti.

 

LE CONDIZIONI DELL’IMPERO ROMANO

 

Engels nell’esaminare le condizioni dell’impero  romano sostiene che in tutti i paesi sottomessi, la conquista romana aveva dissolto dapprima direttamente le precedenti istituzioni politiche e poi indirettamente anche le antiche condizioni di vita sociale.

In primo luogo in quanto poneva al posto della precedente distribuzione dei ceti (a parte la schiavitù) la semplice distinzione fra cittadini romani e cittadini non romani e sudditi. In secondo luogo, e principalmente, attraverso le estorsioni operate in nome dello Stato romano

Sotto l’impero, alla frenesia di arricchimento dei governatori, fu posto, per quanto possibile, un limite nell’interesse dello Stato, ma al suo posto subentrò il torchio fiscale per il tesoro statale che funzionava con sempre maggior forza e in modo sempre più esoso e questo dissanguamento ebbe un effetto spaventosamente dissolvente.

In terzo luogo e ultimo, dappertutto si giudicava secondo il diritto romano quindi furono annullati quegli ordinamenti sociali locali che non si accordavano con l’ordinamento giuridico romano.

Queste tre leve dovevano agire come una immensa forza livellatrice, specialmente se applicata per un paio di secoli a popolazioni, la parte più vigorosa delle quali era stata sterminata o condotta in schiavitù nelle lotte che avevano preceduto la conquista, che l’accompagnavano e la seguivano.

I rapporti sociali delle province si avvicinavano sempre più a quelli della capitale e dell’Italia. La popolazione si divideva sempre più in tre classi eterogeneecomposte degli elementi e delle nazionalità più disparate: i ricchi, tra cui non pochi schiavi liberi (p.es. Petronio); grossi proprietari fondiari, usurai o l’uno e l’altro insieme come lo zio del cristianesimo Seneca; liberi nullatenenti che a Roma erano nutriti e divertiti dallo Stato e nelle province dovevano in qualche modo arrangiarsi; infine la grande massa degli schiavi.

Di fronte allo Stato, cioè all’imperatore, le prime due classi erano altrettanto prive di diritti che gli schiavi di fronte ai loro padroni. Specialmente da Tiberio a Nerone era di regola condannare a morte i ricchi romani per confiscare i loro beni.

Sostegno del governo era materialmente l’esercito che assomigliava molto più a un’armata di lanzichenecchi che all’antico esercito romano di contadini.

Alla generale anarchia e alla disperata sfiducia nella possibilità di condizioni migliori, corrispondeva un generale rilassamento e avvilimento. I pochi vecchi romani ancora superstiti, di modi e sentimenti patrizi, erano stati eliminati o si spegnevano: l’ultimo di loro fu Cornelio Tacito (54-120 c.a., n.e.).

Gli altri erano contenti se potevano tenersi del tutto lontani dalla vita pubblica; l’acquisto e il godimento delle ricchezze riempivano la loro esistenza, così come i pettegolezzi e gli intrighi privati. I liberi nullatenenti che a Roma erano pensionati dello Stato, nelle province si trovavano invece in una condizione difficile. Dovevano lavorare, per di più in dura concorrenza col lavoro degli schiavi. Ma essi erano limitati alla città. Accanto ad essi, nelle province c’erano ancora i contadini, liberi proprietari del fondo (qua e là con proprietà in comune), o come in Gallia, coloni asserviti per debiti ai grandi proprietari.

Questa classe fu la meno toccata dal rivolgimento sociale e anche il rivolgimento religioso oppose la più tenace resistenza (a questo punto Enghels ricorda i contadini del Peloponneso che nel IX sec., sacrificavano a Giove)

Infine gli schiavi senza diritti e senza volontà nell’impossibilità di liberarsi (come aveva dimostrato la sconfitta di Spartaco), essi stessi ex liberi o figli di nati liberi. Fra loro dunque, doveva regnare un odio più che mai vivo, anche se impotente, verso l’esterno, contro le proprie condizioni di vita.

I filosofi erano o semplici maestri di scuola o buffoni pagati da ricchi crapuloni. Parecchi erano persino schiavi. Seneca è un esempio di cosa essi diventassero nella buona fortuna.

Questo stoico predicatore di virtù e di astinenze era il primo degli intriganti alla corte di Nerone e ciò significava che non poteva non essere servile: si faceva regalare denaro, poderi, orti, palazzi e mentre predicava il povero Lazzaro del Vangelo, era in realtà l’uomo ricco della stessa parabola (Luca 16,19-31). Solo quando Nerone volle la sua testa, pregò l’imperatore di riprendersi tutti i doni, perché la sua filosofia gli bastava.

Soltanto pochi filosofi come Persio (Aulo Persio Flacco, 34-62) brandivano la sferza della satira contro i degenerati contemporanei.

Quanto poi alla seconda specie di ideologi, i giuristi, essi erano entusiasti delle nuove condizioni, perché la scomparsa di ogni distinzione di ceti permetteva loro di elaborare in tutta la larghezza  il loro diletto diritto privato, in cambio del quale regalarono poi all’imperatore il diritto pubblico più sfacciato che sia mai esistito.

Infine, con le particolari caratteristiche politiche e sociali dei popoli, l’impero romano aveva condannato al tramonto anche le loro particolari religioni.

Tutte le religioni dell’antichità erano religioni naturali di tribù e, più tardi, nazionali, germogliate dalle condizioni sociali e politiche di ciascun popolo e con esse cresciute. Una volta distrutte queste loro basi e spezzate le forme sociali che si erano tramandate insieme con l’assetto politico tradizionale e con l’indipendenza nazionale, la religione ad esse corrispondente crollò.

Gli dei nazionali potevano tollerare altri dèi nazionali accanto a sé, e questa era la regola generale dell’antichità: ma non sopra di sé.

Il trasferirsi a Roma dei culti religiosi orientali, nuoceva senza dubbio alla religione romana, ma non poteva arrestare la decadenza delle religioni orientali. Non appena gli dèi nazionali si rivelano incapaci di proteggere l’indipendenza e la libertà della loro nazione, si rompono la testa da sé. Così accadde (tranne che fra i contadini sulle montagne).

Quel che a Roma e in Grecia fece l’illuminismo della filosofia volgare (“stavo per dire volterrianesimo”, precisa Engels), nelle province fu il risultato dell’assoggettamento a Roma e della sostituzione di uomini fieri e liberi con sudditi disperati e straccioni egoisti.

Questa era la situazione materiale e morale. Il presente intollerabile; il futuro, se possibile, ancora più minaccioso. Nessuna via d’uscita. Disperazione o salvezza nel più ordinario piacere sensuale per quelli che almeno potevano permetterselo, ed era una piccola minoranza. Altrimenti non restava che la stanca rassegnazione all’inevitabile.

Ma in tutte le classi doveva trovarsi una quantità di gente che disperando in una redenzione materiale, cercava come surrogato una redenzione spirituale: una consolazione della coscienza che preservasse dalla completa disperazione.

Questa consolazione non potevano offrirla la Stoà, e nemmeno la scuoladi Epicuro, e la consolazione non doveva sostituire una filosofia perduta, ma la religione perduta; e questa consolazione doveva precisamente presentarsi sotto forma religiosa, come tutto ciò che allora e poi ancora fino al XVII secolo, doveva commuovere le masse.

E’ semplice capire che fra la gente che anelava a una tale consolazione, il maggior numero doveva trovarsi fra gli schiavi. In mezzo a questa generale dissoluzione, economica, politica, intellettuale e morale, si fece avanti il cristianesimo in dichiarata opposizione di tutte le precedenti religioni.

In tutte le precedenti religioni, l’elemento principale erano le cerimonie. Soltanto con la partecipazione a sacrifici e processioni, e in oriente con l’osservanza di minute prescrizioni di diete e di purezza, si poteva dichiarare la propria affiliazione religiosa.

Mentre Roma e Grecia, sotto quest’ultimo aspetto erano tolleranti, in oriente dominava una mania di divieti religiosi che ha contribuito non poco alla decadenza finale. Persone di due diverse religioni (egiziani, persiani, ebrei, caldei) non potevano mangiare e bere assieme, né compiere assieme una qualsiasi azione: potevano appena parlare assieme. L’antico oriente è in gran parte tramonatato in conseguenza di questa separazione dell’uomo dall’uomo.

Il cristianesimo non conosceva nessuna di queste restrizioni, causa di tante divisioni e neppure i sacrifici e le processioni del mondo classico.

Respingendo così tutte le religioni nazionali e le cerimonie ad esse comuni, si rivolge a tutti i popoli senza distinzione e diventa essa stessa la prima religione mondiale possibile.

Anche l’ebraismo col suo nuovo dio universale aveva preso l’avvio per diventare religione mondiale; ma i figli d’Israele restavano sempre un’aristocrazia tra i credenti e i circoncisi; e lo stesso cristianesimo dovette sbarazzarsi dell’idea della preminenza dei cristiani giudaizzanti (che dominava ancora nell’Apocalisse di Giovanni) prima di poter diventare una religione mondiale.

In secondo luogo il cristianesimo toccò una corda che doveva trovare eco in innumervoli cuori. A tutti i lamenti sulla malvagità dei tempi e sulla generale miseria materiale e generale, la cristiana coscienza del peccato rispondeva: così è e non può essere altrimenti; della corruzione del mondo sei tu colpevole, siete voi tutti la tua e la vostra corruzione interna!

Nessuno poteva rifiutarsi di ammettere la sua parte di colpa nella sventura generale, condizione preliminare indispensabile per la redenzione spirituale che contemporaneamente il cristianesimo annunciava. E questa redenzione spirituale era presentata in modo tale da poter essere facilmente compresa dagli adepti di ogni antica comunità religiosa.

A tutte quste antiche religioni era familiare l’idea del sacrificio espiatorio, mediante il quale la divinità offesa veniva placata; come avrebbe potuto  non farsi strada  in questo ambiente l’idea del sacrificio dell’intermediario che cancellava una volta per sempre i peccati del genere umano?

In quanto il cristanesimo portava a una chiara consapevolezza del peccato da parte di ogni singolo in base al sentimento diffuso secondo cui gli uomini sono essi stessi colpevoli della conrruzione generale e contemporaneamente offriva col sacrificio del suo giudice una forma facilmente comprensibile per tutti della sospirata redenzione interiore del mondo corrotto e della consolazione della coscienza, esso dimostrava di nuovo la sua capacità di diventare religione mondiale: una religione in verità, adatta proprio al mondo che esisteva allora.

Così è accaduto che tra le migliaia di profeti e predicatori nel deserto che riempivano quell’epoca con le loro innumerevoli innovazioni religiose, soltanto i fondatori del cristianesimo aevano avuto successo.

Non soltanto la Palestina, ma tutto l’oriente brulicava di tali fondatori di religioni, fra i quali regnava una lotta darwiniana, si può dire, per l’esistenza ideale.

Grazie agli elementi indicati, vinse il cristianesimo. E come esso, attraverso una selezione naturale abbia elaborato, a poco a poco il suo carattere di religione mondiale, nella lotta delle varie sette fra di loro e col mondo pagano, lo insegna nei particolari la storia della Chiesa dei primi tre secoli.   

 

 

FINE

 

torna su